Un giorno da vivere in modo solenne per riscoprire il valore e la centralità delle Sacre Scritture. E’ la “Domenica della Parola di Dio” istituita da Papa Francesco con la Lettera apostolica in forma di Motu proprio “Aperuit Illis”, emanata ieri 30 settembre, memoria liturgica di san Girolamo, celebre traduttore della Bibbia in latino, a 1600 dalla sua morte. Nel documento, il cui titolo è ispirato dal versetto del Vangelo secondo san Luca: “Aprì loro la mente per comprendere le Scritture”, il Papa stabilisce che “la III domenica del tempo ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio” e fa propria l’affermazione dell’autore della Vulgata: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”.
Una notizia non inattesa – già a conclusione del Giubileo della misericordia Francesco aveva chiesto nella “Misericordia et misera” che si pensasse ad una domenica dedicata alla Parola di Dio – ma accolta con “profonda gioia” da padre Ermes Ronchi, dell’Ordine dei Servi di Maria, scelto nel 2016 dal Pontefice per guidare gli Esercizi spirituali di Quaresima per sé e per la Curia romana. “Molti cristiani – dice al Sir – conoscono e frequentano ancora poco la Sacra Scrittura, ma l’attenzione sta crescendo e su questa onda si inserisce il Papa. La sua idea è vitale: sarà decisivo se riusciremo a mettere la Parola di Dio realmente dentro di noi”.
Padre Ermes, perché è così importante questa giornata?
Perché intende mettere in modo solenne la Parola al cuore della vita della comunità cristiana. Non una riflessione, ma una Parola che crea comunicazione e chiama a dislocarsi da sé. Dio comunica attraverso parole – non con tuoni, fulmini, effetti speciali –.
E’ l’umiltà di Dio che bussa al cuore dell’uomo con una parola semplice, disarmata, nel totale rispetto di ognuno.
Non è casuale la scelta della data: la terza domenica del tempo ordinario, a ridosso della Giornata del dialogo con gli ebrei e della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
La Sacra Scrittura ha valore di unione. Pensiamo ai salmi, preghiere di due popoli di due religioni diverse, ebraica e cristiana. Eppure leggiamo le stesse parole, preghiamo con le stesse preghiere. Ed anche ciò che abbiamo indiscutibilmente in comune con i fratelli delle Chiese e protestanti è la Parola di Dio. Questo costruisce legami da cui partire nel cammino verso l’unità; la scelta del Papa assume perciò grande valenza ecumenica e interreligiosa.
Francesco precisa che la Bibbia non è un libro per pochi privilegiati bensì il libro del popolo di Dio…
La Scrittura ha un carattere fondativo e quasi sacramentale: in essa il popolo di Dio si ritrova. La Parola è urlo, è ruggito dei profeti come Amos domenica scorsa, è grido del povero; a volte è invece semplice sussurro nella notte, sogno, brivido nell’anima, oppure il racconto di una storia. In questo,
Gesù è un vero specialista: le parabole sono la punta più rifinita e più geniale del suo linguaggio.
La parabola è per tutti: è laica, universale, raggiunge chiunque e chiama a entrare dentro una vicenda. Ma nel Vangelo il Signore pone anche oltre 200 domande: due modi per gettare un amo nel profondo dell’anima lasciando piena libertà di risposta.
Il Papa sottolinea inoltre l’importanza di un’adeguata proclamazione della Parola e la centralità dell’omelia…
A volte assistiamo a letture sciatte, senza pathos, senza logos, senza partecipazione, che mi addolorano profondamente. Il lettorato è prezioso: non si tratta di leggere per conto proprio o di declamare come a teatro, bensì di proporre in modo attento e vibrante la Parola del Signore. Certamente sarebbero necessari dei corsi. Quanto all’omelia, croce e delizia di ogni sacerdote, occorre dedicarvi tempo e ispirarsi alle tecniche comunicative di Gesù: la creatività e la bellezza delle sue storie.
Gesù era un uomo molto felice; lo si capisce dalla ricchezza della sua immaginazione.
Noi preti corriamo invece il rischio di mettere in pratica ciò da cui padre Turoldo ci metteva in guardia in un suo verso: “Dio ucciso dalle nostre mestissime omelie”.
Il Papa cita Lazzaro, tra l’altro al centro del Vangelo di domenica scorsa, sottolineando che la Parola chiama a misericordia, carità, solidarietà, a non ignorare poveri e sofferenti…
La Bibbia è storia di Dio con l’uomo; è dialogo tra cielo e terra; è richiamo a guardare nell’intimo ma anche ad uscire da sé verso i poveri che sono voce e carne di Dio; sono i profeti di oggi che gridano davanti al Signore e Lui in loro si identifica. Pensiamo a Matteo 25: mi avete dato da mangiare, da bere, mi avete accolto. Ero io. Poveri, malati, migranti: è negli ultimi che Dio si identifica; Lui, il Diverso che viene per renderci diversi da ciò che siamo. La Parola deve avere ricadute concrete nella nostra vita, deve fare storia. Ascoltarla è ascoltare Gesù: avere gli occhi, le mani, i piedi di Gesù che corrono verso chi è nel bisogno; essere sospinti come Lui dallo spirito verso i nostri fratelli.
Fonte: SIR