Il filosofo francese Gabriel Marcel (1889-1973) scrisse: «La speranza è attiva lotta contro la disperazione».
Per parlare della speranza è necessario parlare della disperazione. Cosa è?
È il lasciarsi andare, il far vincere la morte sulla vita, è l’ akedia , detta pure spiritus tristitiae e che la tradizione cristiana annovera tra i peccati capitali.
Se la speranza è il tempo aperto, la disperazione è il tempo chiuso. Per chi è disperato il tempo non passa mai. Potremmo dire che il tempo chiuso del disperato è una contro-eternità, potremmo dire che è l’inferno in quanto è isolamento. Disperare è disperare degli altri, del tempo e, per chi è credente, è disperare di Dio!
La speranza apre il tempo perché apre le relazioni, fa del tempo un luogo di incontri e relazioni, dà senso al tempo. Potremmo dire che la speranza dà vita al tempo perché ci fa vivere positivamente il tempo e le relazioni. Al contrario, chi dispera si nega. Cioè perde se stesso e la propria unità interiore … chi dispera è uno che “abdica”, è uno in perenne dimissioni. Chi dispera è curvo, perde la posizione e dignità propria dell’uomo: la posizione eretta.
Nell’evangelo secondo Luca Gesù dice: «Quando cominceranno ad accadere queste cose (sono le ultime cose della storia) alzatevi e sollevate la fronte, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). Gesù lì sta dicendo di custodire la speranza mentre tutto quello che è attorno la nega; più avanti ancora dice: «Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e state in piedi di fronte al Figlio dell’uomo». In verità la traduzione della CEI traduce «comparire davanti al Figlio dell’uomo», ma il verbo greco è stathenai che significa proprio “stare in piedi”. E cioè in un rapporto faccia a faccia.
La disperazione può avere due facce:
- La praesumptio che è il presupporre che ci sarà certamente un esito negativo
- La desperatio che è l’arrendersi al non compimento.
Ci fa riflettere a questo proposito che il Libro dell’Apocalisse metta i vili e i codardi prima degli omicidi, degli immorali, degli abietti e degli idolatri (cf Ap 28,8). Di chi si tratta? Dei paurosi, in greco dei deiloi, i paurosi, quelli che si giudicano incapaci di ciò che il Signore chiede loro! Sono i pusillanimi, i vigliacchi che non hanno il coraggio della speranza, che non hanno pazienza nelle difficoltà. Questi, nelle ore cattive, abbandonano la speranza.
Scriveva San Giovanni Crisostomo: «Non è tanto il peccato che ci porta alla perdizione, quanto la mancanza di speranza». La mancanza di speranza è l’inferno!
Giustamente Dante dice che, alla porta dell’inferno, si legge: «Lasciate ogni speranza, voi che entrate» (Inferno, III,9).
In fondo chi dispera è uno che disprezza la chiamata di Dio, non la prende sul serio; non crede alle possibilità che Dio gli ha dato, né alla dignità che Dio gli ha conferito. I Padri della Chiesa sottolineano più volte che è necessario prendere coscienza della propria dignità (San leone Magno), che bisogna tener ben presente che ogni uomo è capax Dei (capace di contenere in sé Dio!) e questo perché è creato a sua immagine (S. Agostino). Questo significa una cosa di proporzioni infinite: la speranza tende all’infinito, alla vita eterna!
Ricordarsi di tutto ciò ci mette in lotta contro la disperazione!
Fabrizio Cristarella Orestano