Rubrica "Germogli di Speranza"

La paura nemica della speranza

La speranza va custodita arditamente e attivamente

La speranza non è solo una virtù cristiana, è anche un elemento antropologico di grande importanza.

Il nostro corpo stesso ci dice che il tempo non è un’apparenza, il tempo ci segna, il trascorrere del tempo segna il nostro corpo. Una cosa questa che ci dice che noi siamo fatti di tempo e il tempo vuole orientamento al futuro! Ecco perché abbiamo bisogno di sperare, di progettare.

Vivere è sperare.

Fëdor Dostoevskij scriveva in un suo romanzo: «Non si può vivere senza speranza». Se si toglie a qualcuno la speranza questo qualcuno o diviene aggressivo e feroce mettendo in atto istanze distruttive o autodistruttive, oppure questo qualcuno a cui è stata tolta la speranza cade in un indurimento di cuore che diviene angoscia, apatia, indifferenza.

Se non si attende più nulla, la vita diventa un eterno presente piatto e desolato, scompare il novum e si vive non vivendo.

Il protagonista del grande romanzo di Victor Hugo I miserabili, Jean Valjean nel momento della sua morte esclama: «Non è terribile morire, terribile è non vivere!».

E sapete quando accade questa cosa terribile che dice Jean Valjean? Quando comincia a regnare la paura.

 

Dobbiamo dirlo: oggi siamo in un clima in cui risorgono tante paure, individuali e collettive. La paura soffoca la speranza.

C’è la paura dell’altro, del diverso (manovrata ad arte anche da politici sciagurati e senza coscienza in tutto il mondo), c’è la paura della guerra che questi ultimi tempi ha mostrato di nuovo evidente il suo terribile spettro, c’è la paura delle malattie che la pandemia ha fatto esplodere … tutte queste paure, assieme ad altre che non elenchiamo, ma che ben conosciamo, generano isolamento, chiusure nel privato e nel proprio interesse piccolo piccolo, porte chiuse del cuore su ogni domani che appare solo colmo di minaccia.

C’è però ancora un’altra possibilità, quella che ha descritto straordinariamente Franz Kafka nel suo romanzo Il processo. È la possibilità di un’attesa inerte, di una pseudo speranza vuota e passiva. Il romanzo di Kafka ha per protagonista un certo Josef K., un trentenne a cui viene notificato che è in corso su di lui un processo per un crimine che non gli viene mai specificato. Inizia per Josef K. Una lotta per sapere, per difendersi da una macchina di “giustizia” che alla fine lo schiaccerà e di cui non saprà, né capirà mai nulla. Al capitolo IX Josef deve accompagnare un importante cliente della Banca in cui lavora a visitare la Cattedrale di Praga. L’ospite non si presenta e Josef, nell’uscire dalla Cattedrale, incontra un prete che, chiamandolo per nome, gli dice di sapere tutto sul suo processo … si scopre che costui è un impiegato della Corte che sta processando Josef. Il prete gli narra una parabola che, dice, è parte delle leggi che regolano i processi. Come si può entrare nella legge?

Ed ecco la parabola: Un uomo di campagna vuole comprendere la legge e spera di conquistarla entrando in un portone. Il guardiano del portone dice all’uomo che in quel momento non può passarvi. L’uomo allora chiede se ci sarà un giorno in cui potrà farlo e il guardiano gli risponde che c’è la possibilità che vi riesca. L’uomo attende per anni fuori a quel portone e cerca di corrompere il guardiano con i suoi averi; il guardiano accetta dicendo: «Accetto solo perché tu non creda d’aver trascurato qualcosa». L’uomo attende ancora senza tentare mai di forzare con la violenza quell’ingresso, attende fino a che non sta per morire. Prima di spirare chiede al guardiano come mei in tutti quegli anni mai nessuno è venuto davanti a quella porta. Il guardiano risponde: «Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato solo a te. Ora vado a chiuderlo».

            È terribile questa descrizione di un’attesa irresponsabile, vinta dalla paura. La paura ha fatto perdere la forza dinamizzante della speranza.

È un rischio. La speranza va custodita arditamente e attivamente. La paura che la può vincere è la nostra grande nemica.

 

p. Fabrizio Cristarella Orestano, Monastero di Ruviano